È il crollo di un’epoca, la fine di un periodo storico in cui si pensava che grazie al progresso tecnologico tutto sarebbe stato possibile. È questo il filo conduttore di Una ballata alla fine, spettacolo liberamente ispirato al testo La fine del Titanic di Hans Magnus Enzensberger.
Ed è appunto il Titanic, gigantesco transatlantico partito da Southampton (Uk) nel 1912 e diretto a New York, che diventa simbolo di una fine. Inaffondabile, come si diceva allora, urtò invece contro un iceberg e si spezzò in due, inabissandosi nell’Oceano. Dei circa 2000 passeggeri morirono 1600 persone, la maggior parte di terza classe. E ancora oggi l’Uomo ripercorre lo stesso errore: insegue un progresso che spesso è sinonimo di rincorsa al profitto e diventa causa d’autodistruzione. Un’autodistruzione che colpisce chiunque, ma maggiormente i più deboli, gli indifesi e i poveri del mondo. Così, come un secolo fa, questa fine si ripete. Non una volta sola e per tutti, ma un po’ per volta, a rate, a pezzi e bocconi, in tempi e luoghi diversi.